Ti sento così bene eppure non ti so spiegare, sei in tutte le mie lacrime, salate come le gocce del mare.
Non credo tu vada molto fiera del tuo ruolo e della tua amarezza, non sei certo benvoluta come la gioia, ma rifiutata, perché tu sei la tristezza!
E se a volte hai pensato di non essere ben gradita, è perché l’essere umano fa di tutto per tenerti lontana, gemendo per la sua vita.
C’è anche chi poi senza te non riesce proprio a stare, eppur prendendo farmaci per lasciarti meglio andare.
Tuttavia molte cose a chi ti accoglie tu insegni e sai trasmettere, sai far commuovere, non solo piangere, ma soprattutto sai far riflettere.
In molte buone cose tu aiuti e ti dai da fare, ti prendi cura, crei e persino sai far innamorare.
Ma diciamo la verità sai anche buttare giù tante di quelle speranze, che molti preferiscono ignorarti del tutto e viver di scemenze.
Del resto del molto pensare tu sei la maestra; ma un’alunna un po’ somara del ridere e del far festa.
La tristezza è una emozione lenta, che ti spegne piano, questo a volte è un male, altre è molto sano.
Perché di tutte le emozioni c’è bisogno, ma nella giusta misura; un po’ di tristezza non uccide ed anzi forse cura.
Per questo non rifuggo completamente il tuo sentire, ma cerco anche una speranza, affinché attraverso te, a me possa dare più importanza; a ciò che sento nel profondo ed anche al mio patire, non per sottrarmi triste al mondo, ma per maturare, crescere e guarire.
L.L.
La tristezza è una emozione che viene spesso considerata negativamente, perché in sé implica una condizione di abbattimento dell’ essere, accompagnandosi variabilmente a sentimenti di perdita, vuoto, disperazione, senso di colpa, abbandono, rassegnazione, commiserazione, fallimento, rimorso, rimpianto, mancanza, bassa autostima, insicurezza, solitudine, insoddisfazione, infelicità, nostalgia, amarezza, di esser stati rifiutati, incompresi, mortificazione, umiliazione, trascuratezza, incuria, etc.
Può accompagnarsi a manifestazioni e segni fisici più o meno evidenti, come uno sguardo inespressivo o rivolto verso il basso; un atteggiamento posturale tipico, con spalle ricurve, testa china, passo lento, tono di voce basso, con un visibile generale rallentamento, non solo motorio, ma anche del linguaggio e del pensiero. Pianto, non sempre presente, possibile stanchezza fisica. Può manifestarsi infatti anche attraverso stati somatici e bisogni più fisiologici, come la fame, l’appetito o al contrario l’inappetenza; sonno o una particolare difficoltà ad addormentarsi. Può essere una condizione prevalente del modo di sentire di alcune persone, che le caratterizza dal punto di vista umorale, pur non essendo di per sé patologica.
Può essere preceduta, accompagnarsi o precedere la rabbia, con sentimenti di protesta e rivendicazione.
Sopraggiunge frequentemente alla paura, in concomitanza al vissuto di impotenza, perdita di controllo, all’ esperienza di esser stati aggrediti, sopraffatti o anche alla sistematica esposizione a stressors e stimoli molto ansiogeni, esterni o interni, ovvero vissuti, sensazioni, suggestioni, generati nel Sé, nel pensiero, che inducono ansie, preoccupazione, paura.
In termini energetici ed adattivi, essa evoca un bisogno di riposo, recupero, accudimento, rigenerazione, quindi riflessione e cambiamento.
A seconda di come viene accolta, orientata e di come viene più o meno soddisfatto il bisogno di “cura” che segnala (inteso in senso generale, non necessariamente clinico), può elicitare pensieri negativi e ruminazioni, i quali alimenteranno altra tristezza in un circolo vizioso, senza giungere dunque ad alcun cambiamento o progresso, potendo inficiare in condizioni di malessere conclamato. Potrebbe pertanto motivare atti comportamentali tesi ad evitare l’emozione stessa, avvertita come esperienza spiacevole da contenere o reprimere a tutti i costi. In tal senso suscitare modalità autoconsolatorie più o meno adattative, per fronteggiare la tristezza, che tuttavia possono trasformarsi in alcuni casi, in vere e proprie addiction o dipendenze.
Una tristezza ipertrofica è alla base della patologia depressiva, che in base al livello di gravità, può compromettere drasticamente la qualità della vita di chi ne è affetto, fino ad associarsi ad arrivare a comportamenti autolesivi ed al suicidio, essendone una precondizione psicopatologica ed insieme fattore di rischio.
Può però anche accompagnarsi ad esperienze di consolazione appagante, capaci di rafforzare legami affettivi basati sulla reciprocità; il senso di fiducia in sé e negli altri.
Può evocare atti creativi che consentono di sublimare quei vissuti di sofferenza ad essa collegati.
Infine può comportare “una presa di coscienza” dell’essere tristi, frustrati, scontenti, da cui scaturisce il superamento di una crisi e una conquista della persona in termini di consapevolezza dei propri bisogni e desideri, sviluppo affettivo, maturazione sul piano della personalità.
Possono essere molti i significati e i modi che la tristezza assume per manifestarsi. Come le altre emozioni non va demonizzata, né elogiata apprescindere, ma compresa e contestualizzata nei suoi scopi adattivi, di conservazione ed innovazione della specie.
In fondo la tristezza quando ascoltata, ci permette di sottrarci ad esperienze sgradite; chiederci di che cosa abbiamo bisogno, cosa desideriamo, cosa ci piace. Essa quindi è una precondizione necessaria per raggiungere obiettivi ed andare in direzione della nostra o meglio delle nostre autentiche felicità.
Sicché anche la tristezza può aiutarci a mantenere lo status quo, perpetuando il nostro malessere e la condizione che lo genera o può trasformarsi in un eccellente “motore del nostro cambiamento”.
Accoglierla è il primo passo per attraversare quel dolore che ci richiama e per superarlo.