Di tutte le emozioni io sono la più subdola e rivoltante, puoi non accorgerti che esisto, ma prova a chiedere di me al tuo apparato digerente...

Lui di me sa tutto, lo stomaco poi è un esperto conoscitore; può dirti quando arrivo, quando me ne vado; non lo ascolti quasi mai, non credi sia un errore?

All’ inizio ti parlavo con espressioni di disappunto, ti comunicavo il mio disagio, ti spingevo ad indagarne il motivo con coraggio.

Tu volevi ascoltarmi come un segnale prezioso, ma temevi anche che il tuo cuore fosse troppo ambizioso; lui cercava per sé più godimento, più amore ricambiato, tu reprimevi piacere e rabbia per non esser giudicato.

Ora quando arrivo, faccio sempre più rumore, più di un virus porto nausea, anche senza febbre e raffreddore.

Tu non mi conosci, non mi chiedi mai come mi chiamo, perché sono qui a parlarti, con quel fastidio, con quel bruciore strano.

Quel disturbo, quel dolore, che non passano né con il digiuno, né con la compressa, ti parlano anche di me: sono il disgusto! Vengo a chiedere alla tua anima di non venire più repressa.

L.L.

Il disgusto è un’ emozione primaria, nell’ accezione di primitiva, che pertanto ha un’ origine precoce nello sviluppo della specie e di ogni singola vita umana. Ulteriormente nell’accezione di innata, universale, che prescinde cioè dalle influenze culturali ed etniche. Essa come indica il prefisso dis esprime un’anomalia, nel gusto appunto, che sappiamo essere prima di tutto uno dei cinque sensi dell’essere umano, nel suo divenire senziente. Il gusto è infatti un canale fondamentale di esplorazione della realtà, con le sue alternative binarie di piacere e dispiacere ovvero avversione. Esso sostiene la conservazione, sopravvivenza ed evoluzione della specie, incoraggiandone il nutrimento e scoraggiando l’assunzione di sostanze nocive, come ad esempio cibi velenosi.

Il disgusto, come le altre emozioni primarie (gioia, rabbia, sorpresa, tristezza, paura), ha la caratteristica di essere profondamente incarnata. Quando riesce ad esprimere tutto il suo potenziale con consapevolezza mente e corpo, essa si traduce in una reazione di avversione, che oltre a segnalare alla persona il vissuto sgradevole dell’ esperienza, con tipiche manifestazioni somatiche, tra cui la nausea; si accompagna anche a pensieri e sentimenti di indignazione, rabbia, collera, dispiacere, che aiutano la persona sempre più a contestualizzare le ragioni del suo disagio.

In una società che però ha inteso da tempo immemore, la parola civiltà, come un processo di negazione, repressione e disconoscimento delle emozioni, anche il disgusto è stato a lungo represso, attraverso l’educazione alla “sana” rimozione, all’evitamento, al concentrarsi su aspetti pratici e concreti.

Tra gli aspetti meritevoli di osservazione, intervento e cura ci si è prevalentemente semmai concentrati sui correlati somatici delle emozioni, su disturbi “fisici”, causa di stress e malattia, scollegandoli completamente dalla radice simbolica e mentale a cui sono intrinsecamente e originariamente associati, come un tutt’ uno inscindibile. Ogni distinzione tra fisico e mentale non è più sostenibile e giustificabile, se non come arteficio epistemologico o per dirla semplice, come un modo per semplificare e spiegare più facilmente la realtà.

Non siamo robot, né automi, e nonostante l’era digitale nella quale siamo immersi, l’ essere continua a manifestare gli stessi bisogni fondamentali di milleni fa ed ogni emozione inascoltata genera problemi e malesseri, sindromi e sintomi anche a carico di organi somatici. Pensiamo ai malesseri del tratto digerente solo per fare un esempio ed alle metafore ad esso associato, come: “mi sta sullo stomaco”; ” ho un nodo alla gola” etc, che esprimono la stretta connessione tra la componente viscerale e quella affettivo-relazionale dell’ esperienza del sentire.

“Non reprimere l’emozione”, qualunque essa sia, diventa un primo passo fondamentale, per curarsi non solo lo stomaco, ma tante altre parti di sé e tutto il Sé.

È necessario poi riconoscere, nominare, tradurre in pensiero e parola l’ emozione, ricalibrare il proprio comportamento più consapevolmente.

L’emozione del disgusto in particolare ci invita a riconoscere tanto sensazioni fisiche come la nausea, quanto altre più emotive, come lo sdegno. A far emergere ed esprimere, liberandola, anche la rabbia sottesa.

È fondamentale poi trovare i modi migliori per esprimere questi stati emotivi; attraverso comportamenti “saggiamente folli”, per riuscire a godersi in prima persona, anche il risultato di questa vera e propria “conversione emotivamente consapevole del vivere”. Senza dover conteggiare così, tutti quei numerosi danni collaterali facili a crearsi, quando si liberano emozioni tanto più violente, quanto più violentemente represse.

Per concludere, è importante concedersi tutte le emozioni, ed essere clementi nell’accoglierle. A partire dall’ascolto del proprio vissuto emotivo é possibile ascoltare anche quello degli altri. Questi ultimi, bambini, adulti o anziani, impareranno anche da noi, se non sanno ancora farlo, a liberare le proprie emozioni sempre più, con clemenza ed assertività.

Perciò disgustiamoci…

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