Se sei cresciutə con lo spauracchio del “chi si ferma è perduto”, temendə di concederti giorni di riposo, momenti di svago, pause di riflessione o anni sabbatici, questa piccola riflessione è per te.

Se ti sei dovutə fermare nella tua corsa inarrestabile verso l’obiettivo, magari contro ogni tuo consapevole desiderio, ecco questa riflessione ancor più è diretta a te.

Se poi ti sentissi anche in ripartenza, prenditi due minuti per concedertela seriamente.

Abbiamo spesso considerato maledizione, ogni battuta di arresto in panchina, recriminandoci magari persino un giorno di vacanza, un pomeriggio trascorso con i nostri cari se ci teneva lontani da quei doveri improrogabili e prioritari senza ombra di dubbio.

Vero no?

Fin da piccoli ci hanno inculcato infatti, che ogni minimo cedimento andava demonizzato e lodato invece il prototipo del successo inarrestabile, di chi non si ferma mai e continua a lavorare fino al giorno del proprio funerale.

In questo clima di tensione abbiamo forse continuato a portare in grembo e cullare i nostri talenti ed i nostri sogni, aspettando il momento giusto per abbracciarli, oppure li abbiamo occultati in una cassaforte speciale, rinchiusi a doppia mandata, aspettando di usarli poi.

Così facendo alcuni non li abbiamo proprio più ritrovati ed altri li abbiamo ripresi ma senza gusto né soddisfazione.

In questa prospettiva severa e performante, potrebbe esserti capitato di contravvenire per varie ragioni esterne o interne, a tutti quei saggi propositi di inarrestabilità a cui eri statə preparatə ed allora avrai provato il disagio ed il gusto insieme, di tirarti fuori dal vortice del fare e del “super essere” per osservare semplicemente gli altri, che nel mentre erano super impegnati in attività fondamentali e/o te stessə con una luce totalmente diversa. Scoprendo forse per la prima volta, talenti che nemmeno conoscevi e ritirando fuori ciò che avevi recluso, per il timore di perdere tempo o anche per curarti le ferite di un arresto, cioè di una caduta, di un trauma, di un evento sconvolgente, anche se non necessariamente negativo e dopo la conta dei danni o la costatazione dei numerosi cambiamenti, doverti rimetterti in carreggiata, con condizione mutata ed altra velocità.

Ogni ripartenza porta con sé ansie ed entusiasmo in misura variabile. Ripartire d’altronde è un po’ come rinascere ed ogni rinascita presuppone morte ed allora anche dolore plausibilmente.

Ti sarà capitato nei momenti peggiori di pensare: “che brutta fine che ho fatto”, di vedere la tua condizione come esito e quindi come ormai data e già scritta.

Ma ricordiamo che ogni fine è un principio; pertanto vedere la propria condizione, anche se dura, come un inizio difficile magari, piuttosto che come una brutta fine, aiuta a concentrarsi sul proprio presente e sul futuro, sul da farsi e sui propri bisogni e desideri.

Quando pensi di essere finitə male perciò, capovolgi tutto e pensa senza inganno alcuno, che stai anche iniziando qualcosa di nuovo, benché sia difficile e che la tua strada è ancora tutta da costruire; con i tuoi pensieri infatti puoi cambiare il percorso e la tua condizione.

Riparti dalla prospettiva che hai scelto per guardare alla tua vita e consapevole della direzione intrapresa, richiama nuove energie e vai incontro ad un nuovo fine, proprio a partire da un nuovo inizio.

non dire a te stessə “che brutta fine!”

magari puoi dirti “è un inizio difficile, senza cioè negare le difficoltà che senti…

Ma ditti anche

“posso farcela”

e riparti!

Psicologia Life

Categorized in: