La rabbia la possediamo tutti, nasciamo per così dire arrabbiati,questa emozione fa parte del nostro prezioso corredo genetico e se ci viene data in dotazione dal primo battito di vita, in potenziale, è perché anche essa ha il compito di guidarci in questo mondo.
Ma noi non siamo figli della rabbia, ma dei nostri genitori arrabbiati! (o di chi ne fa le veci).
Ci sono una infinità di modi di usare, gestire, manifestare e trasmettere la rabbia. Il più comune e frequente: è il modo disadattivo.
Rientrano nel modo disadattivo di esprimere e trasmettere la rabbia, le seguenti azioni e modalità:
Modi diretti: urlare, picchiare, insultare, minacciare, infliggere un castigo…..
Modi relativamente diretti: occhiate ostili, sarcasmo, provocazioni, grugniti, esclusioni intenzionali, rotture di oggetti altrui, silenzio intenzionale, …
Modi indiretti: dimenticare date, eventi, evitare attivamente di compiere attenzioni e gesti carini o compiere gesti apparentemente carini per altri, ma volutamente sgraditi per la persona a cui sono diretti, ad esempio fare regali che si sa essere già sgraditi. Venire meno a responsabilità, in modo più o meno consapevole, etc
Vi sono poi modi diretti e indiretti, in ogni caso disadattivi di esprimere e tramandare la rabbia, tuttavia rivolti al proprio Sé piuttosto che ad altri. Pertanto modi autodiretti.
Tra questi si annoverano autolesionismo e tutte le forme di dipendenza, ripetizione coatta di gesti e rituali per scaricare la tensione, provocata insieme con la paura, anche dalla rabbia, scaturita dalla frustrazione di un bisogno.
Anche le somatizzazioni sono modalità molto frequenti per esprimere tale emozione, così come disturbi cronici a carico di un organo, si formano su personalità che hanno una grave difficoltà a gestire e utilizzare questa emozione e pertanto tendono nevroticamente a reprimerla e proiettarla su altro, su persone e/o sul proprio corpo, vissuto come altro da sé.
La rabbia, ci è stato addirittura e paradossalmente insegnato, che è alla base di una “sana educazione”, purché sia concessa esclusivamente all’adulto, che la proietta sul bambino come prolungamento di sé e non inteso come essere separato e autonomo, pertanto meritevole di rispetto dei confini mentali e fisici. Al contempo essa viene categoricamente vietata nel bambino, insegnando lui o lei a reprimerla, pena diventare “cattivo” o “cattiva” . Ciò che poi realmente accadrà, perché tale emozione repressa, resta incistata nei meandri del Sé, pronta ad esplodere improvvisamente, in modo violento ed incontrollato, apparentemente immotivato, oppure nel corso del tempo, con il silenziatore, ammalando il corpo ed i sensi.
Con diversi “effetti speciali” la rabbia repressa ritorna in superficie, affiorando nel comportamento cosciente della persona, che prima di capire di cosa si tratti, è già partita in un automatico acting out, portandone poi le cicatrici, su una immagine del Sé mortificata o su un derma “misteriosamente” infiammato.
Intere costellazioni di personalità sono patologicamente organizzate intorno al malsano modo di esprimere e sopprimere la rabbia (disturbo borderline, antisociale, narcisistico, depressivo, etc ).
Società, gruppi, sistemi, istituzioni e organismi sociali possono essere patologicamente orientate da un insano modo di concepire la rabbia (multinazionali spietate, famiglie disfunzionali, istituzioni autoritarie e regimi totalitari, etc).
Cosa determina questo approccio frequente e miope nei riguardi di questa emozione, sin dalla prima infanzia e fin dal primo nucleo o cellula della società che è la famiglia e dell’individuo che è la diade madre-bambino?
Le motivazioni sono molteplici e alla base ci sono le insane abitudini apprese, che diventano regole e che ci illudiamo costi più eliminarle, che perpetrarle e tramandarle; pertanto per una sorta di economia a breve termine, le agiamo e le giustifichiamo in vari modi, per dare sostegno alla nostra pigrizia e negligenza, nel cercare modi migliori. Perché semplicemente nessuno ci ha allenati a gestire la frustrazione e noi non abbiamo altri modi incorporati e collaudati che esplodere.
I danni che se ne ricavano, sono molto più di quelli che riusciamo a vedere e i rimedi ahimè spesso non hanno a che fare con una sanificazione del modo di viversi la rabbia ed imparare ad usarla; ma quanto piuttosto di gestire e sbarazzarsi dell’ indigesto e connesso senso di colpa. Laddove la rabbia emerge consciamente è possibile anche gestire il senso di colpa, ma spesso essa è misconosciuta dalla persona e tale ne diventa anche il senso di colpa, che ne mina ulteriormente e profondamente l’equilibrio interiore, creando altri molteplici danni alla persona e alle sue relazioni.
Abbiamo visto come sia assolutamente comune usare la rabbia in modo distruttivo e non istruttivo.
Abbiamo visto che la rabbia infatti di per sé non è disadattiva, ma anzi ci consente di affermare noi stessi ed i nostri bisogni, senza recare danni alle persone o alle cose, quando vissuta nell’assertività e in sani rapporti di reciprocità, accettazione, sostegno, stima e rispetto.
Abbiamo visto pertanto che pazienza non è il contrario di rabbia disadattiva, poiché si può essere apparentemente miti, ma in verità covare emozioni reprimendole, invece che dando loro ossigeno e senso. In tal senso ammalando se stessi o rovinando con ostilità passiva rapporti diversamente e potenzialmente fecondi.
Come fare per disapprendere questi modi disadattivi e distruttivi di esprimere e trasmettere la rabbia?
Allora cominciamo a disincantarci rispetto a soluzioni pratiche e veloci e iniziamo a pensare che non si può in “quattro e quattro: otto”, eliminare e sostituire, modi appresi quando eravamo probabilmente in fasce; molto non sarà possibile cambiarlo se non semplicemente accettandolo. Molto tuttavia di buono e nuovo, può essere appreso e generato in noi stessi, semplicemente vedendo gli errori che ora non siamo disposti ancora a riconoscere del tutto e volendo migliorare, cambiare la propria vita e di riflesso anche quella di chi amiamo.
È impossibile fare questo se la nostra vita si svolge esclusivamente in legami tossici, conflittuali e dove è assente ogni tipo di messa in discussione e dunque spinta evolutiva e di reciprocità.
Per finire lascio una citazione che ha risvegliato in me la sollecitudine di scrivere questo post, come un modo sano, lo confesso, di esprimere la rabbia che mi porto dentro.
Ascoltate quanta saggezza in queste parole:
“Quando l’ira si diffonde nel petto, tieni a freno la lingua che abbaia nel vento”.
Saffo
Il segreto è dunque da qualche parte in noi; nello spirito, l’ira che ci domina; nel corpo ed in particolare nel petto, ossia nel cuore e nel respiro.
Basterebbe così ripartire da qui, da un respiro più calmo e profondo o da una frase potente, sussurrata interiormente allo spirito.
Pian piano si ripristina il legame con il proprio Sé, con il proprio corpo, con la propria mente, con la propria anima e ritornare alla guida delle nostre azioni e reazioni, sarà di nuovo possibile o talvolta lo diventa per la prima volta.
Arrabbiarsi è naturale, ma imparare a farlo bene no; è anche un impegno culturale ed altruistico, che prendiamo prima di tutto tutto con noi stessi e per noi stessi e poi con e per il mondo che abitiamo.
Buona rabbia a tutti noi.